martedì 25 maggio 2010

Crescia


La Crescia, come tutte le specialità gastronomiche che caratterizzano le regioni italiane ha una storia tutta sua e mille varianti che si prestano a tantissime interpretazioni a seconda del gusto del momento. Come tutti i piatti e i prodotti della tradizione marchigiana però è in grado di presentare in tutto il suo essere “rude” il territorio e la tradizione contadina.
La Crescia può presentare similitudini con la “Piadina” emiliana o con la “Ciaccia” toscana, ma soltanto in apparenza. Ne esistono differenti versioni, a seconda del luogo in cui viene preparata e rappresenta insieme agli altri prodotti da forno, un universo di profumi e sapori unici nel loro genere, figli di una terra generosa di frumento come solo le Marche sanno essere.
Il nome Crescia è significativo di un prodotto fragrante, morbido e sapido, croccante all’esterno ma morbido e leggerissimo al suo interno.
Una delle tante varianti è rappresentata dalla Crescia Sfogliata, tipica dell’Urbinate e già presente sulle tavole già al tempo dei Montefeltro, ha una bella forma di un disco rotondo, colore dorato in pochi millimetri di spessore e fragranza grazie alla presenza di uova e strutto.
Farcite con prosciutto o verdure, esemplari di crescia rappresentano un’ottimo cibo di strada, servito nei piccoli chioschi cittadini, o in profumatissimi forni.

La Crescia maceratese in realtà è una tipologia di piazza bianca perché originariamente veniva preparata ogni due o tre giorni con l’impasto avanzato dalla preparazione del pane. Sempre di forma rotonda, si prepara praticando delle fossette sulla superficie così che l'olio con il quale viene spennellata abbondantemente rimanga intrappolato. Si possono trovare spesso anche varianti con cipolla e rosmarino. Alcune varianti della stessa sono: la crescia di granturco, la crescia con gli sgriscioli (cioè con i ciccioli del maiale), e la la "caccia ‘nnanza" (estrai prima), la versione ascolana e che veniva cotta nei forni dove andava infornato il pane, proprio per controllare che arrivasse "a temperatura".

Il Crostolo del Montefeltro infine, ha lo stesso impasto base della Maceratese arricchito da uova, strutto e latte, ma tradizione vuole che sia cotto du dischi di argilla.

Ogni zona ha saputo mutare i frutti che la terra generosamente ha donato, omaggiandola con l’arte della panificazione trasformando un semplice impasto di alimenti in qualcosa di unico e diversificato al tempo stesso, eterno e grandioso come solo il pane può essere.

La ricetta che ho voluto testare è la basilare:

500 gr di farina
30 gr di lievito di birra
sale
acqua
olio e.v.o. (tre cucchiai abbondanti più 1 per spennellare)

Impastare la farina con acqua, olio e lievito, incorporando il sale solo alla fine e far riposare una mezz’ora circa. Prendere l’impasto e stenderlo al mattarello fino ad uno spessore di circa 1 o 2 cm. Far riposare per altri 20 minuti e scaldare una piastra antiaderente. Andrebbe usato un disco di terracotta scaldato accanto al fuoco di un camino ma non disponendo di entrambe le cose ho optato per un testo. Ho dimenticato di spennellare con l'olio, ma è squisita lo stesso!

Appena il tempo è passato e la piastra è calda, pizzicare a superfice della crescia, pennellarla d’olio e versare del sale grosso. Far cuocere a fuoco moderato finché non è cotta (o finché resistete).

Una volta pronta la si può tagliare in due e farcire con degli ottimi affettati ... ovviamente marchigiani!

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